Profondi occhi verde smeraldo - Anteprima di Il destino di stelle cadenti, un romanzo di Emanuele Zanardini
Il destino di stelle cadenti
di Emanuele Zanardini

Un po’ nascosta dietro quelle di altri, quasi pudica, l’immagine alla quale dedico lo sguardo più struggente. 
Una ragazza. Profondi occhi verde smeraldo.

Il destino di stelle cadenti, un romanzo di Emanuele Zanardini

Profondi occhi verde smeraldo – Milo

Il parco pubblico sembra congelato da secoli. Non ci sono segni di passi nella neve. Le panchine hanno la loro coperta bianca ancora intatta. I rami carichi degli alberi, si sfiorano come le dita di Dio e Adamo, nel Giudizio Universale di Michelangelo.

Potrebbe essere il set per un videoclip di Leonard Cohen. Anche i cani si trattengono dal turbare la quiete di questa glaciazione di quartiere.

Di tanto in tanto, un accumulo di neve perde l’equilibrio e cade formando pupazzi di neve in miniatura.

E i Babbo Natale si arrampicano ancora indisturbati sui balconi.

La muraglia di condomini tutti uguali, dove abito, è l’inferno dei postini. Per due volte di fila hanno messo le mie bollette elettriche nella cassetta sbagliata. Sorpreso dall’insana prospettiva di non dover più pagare, me ne sono fregato finché non sono arrivati i solleciti, via raccomandata. Dal piccolo balcone del mio appartamento, guardo nel giardino della villetta di fronte, l’unica con piscina, pregustando visioni paradisiache. Macché, ci vivono due sorelle sulla sessantina, che indossano sempre costumi da ventennio.

Salgo in ascensore, ho già camminato abbastanza per oggi. Per di più con scarsi risultati.

Fissando lo specchio all’interno della cabina, sono distratto dalla netta sensazione di aver già visto quella ragazza. Penso alla sua espressione da telefono casa.

Mi accoglie sul pianerottolo la televisione del vicino sordo. Il conduttore del quiz della sera urla come un ossesso. Il concorrente ha vinto un miliardo di lire. Del vecchio conio.

È stata proprio l’aria da svampita che mi ha colpito. Infilo nella toppa la chiave sbagliata. Forse ho solo immaginato il suo stato d’animo. Magari è la ragazza più decisa del mondo.

Nell’ingresso, su un piccolo mobile di legno ci sono le foto, di famiglia da un lato – io con i miei in piazza San Pietro; tre nonni superstiti, – dall’altro quelle di parenti e conoscenti defunti, perché e sempre meglio ricordarsi che quello che tu sei io ero, quello che io sono tu sarai.Il santino del nonno paterno, che se ne andò quando ero piccolo e, un po’ nascosta dietro quelle di altri, quasi pudica, l’immagine alla quale dedico lo sguardo più struggente. 

Una ragazza.

Profondi occhi verde smeraldo.

Sul piano della cucina c’è ancora il cesto di prodotti tipici che i miei genitori mi hanno regalato a Natale. Hanno vissuto molto tempo lontano delle loro origini. Entrambi emigranti a Torino, dove si conobbero, ma venivano dallo stesso paese del Gargano. Tornarono giù solo per sposarsi. Dopo la luna di miele salirono direttamente qui, senza ripassare per Torino, dove un anno dopo sono nato io. Quattro anni fa si sono stabiliti definitivamente al paese e gestiscono un B&B.

Intanto che la stufetta scalda il bagno, scelgo una giacca effetto sdrucito, da mettere sopra dolcevita e pantaloni di velluto. Nella mia mente il tutto deve fare un po’ artista. La scelta delle scuole superiori l’ho sbagliata in pieno. A quell’età è una lotteria azzeccare la strada giusta, soprattutto quando dicono a tua madre che suo figlio può scegliere la scuola che vuole

Mi butto sotto la doccia. Il getto è bollente.

Davanti allo specchio appannato mi impomato i capelli, mentre faccio il verso a John Travolta in “Grease”. Non mi piace. Ficco la testa sotto il rubinetto e ricomincio da capo. Raggiungo un compromesso accettabile, ma…

Fisso il me stesso nello specchio. Per chimi sto infighettando, se Federica non ci sarà?

E sono in ritardo.

L’auto parcheggiata sotto casa sarà coperta di neve. Sapevo che stasera mi sarebbe servita.

Anche se non immaginavo che avrebbe nevicato così tanto. 

Profondi occhi verde smeraldo – Cassie

Da quella parte c’è la stazione. L’alone luminoso delle luci galleggia appena tra l’oscurità del cielo e i profili dei palazzi.

Arriva l’eco degli annunci. Chi parte, chi arriva. Chi resta.

Una donna si scalda le mani a un fuoco, le gambe quadrettate sbucano fuori dalla pelliccia. Attraverso l’incrocio guardandola. Non gliene faccio una colpa, sarà costretta, credo. Mi disgustano di più i vecchi pieni di pila, come quello lì con la macchinona… oddio e adesso che fa? Pensa che sia una di quelle?

Mi affianca. Cerco di guardare diritto davanti a me. Sono sicura che mi stia fissando. Intravedo il suo profilo, gli occhiali sul naso, da professore di matematica.

Accelero e accelera anche il mio cuore. Per fortuna la fermata Giotto – stazioneè appena oltre l’incrocio. 

Di colpo sgomma. Due enormi fari rossi si allontanano come grandi occhi animali.

Respiro.

Non so perché, mi ritorna in mente il tipo della fermata. No, sono sicura di non averlo mai visto prima.

Devo averci messo un quarto d’ora buono. Sono fuori allenamento e reduce dai pranzi natalizi a casa. L’ultima volta che ho corso seriamente è stato al liceo, quindi due anni fa. Anzi, più di due anni! Era stato in occasione delle gare giovanili, sui 60 metri piani, prima dell’estate. Ho la medaglia d’argento appesa in camera, ma dovrò presto staccarla per portarla nella casa nuova.

Non sono ancora arrivati. Le telefono? Mi sentirei troppo patetica a scongiurarli di tornare indietro a prendermi. Penso positivo. Di certo stanno per arrivare.

Un’utilitaria mi sorpassa, con le quattro frecce accese. Frena, quasi si ferma. Saranno loro? Poi accelera un po’ e prosegue, fino a fermarsi alla pensilina.

Sono davvero loro! Corricchio, per quanto me lo permettano le gambe affaticate e la borsa con le cose che mi serviranno i prossimi giorni, prima del trasloco.

Alzo la mano per attirare l’attenzione. Non serve. La portiera anteriore si apre e scende una ragazza. Ha un cappuccio per ripararsi dalla neve che però non cade più.

– Cassiopea? – grida da lontano.

Alzo la mano in un saluto scoordinato, ondeggio un po’, stanca.

– Sono io! Ho fatto un casino!

Quando la raggiungo non riesco a parlare.

– Ho. Fatto. Una. Corsa. Per. Arrivare. In. Tempo.

Mi guarda divertita. – In tempo?

Sorrido, imbarazzata. Mi da tre baci sulle guance.

– Dai a me, – dice, indicando la borsa.

– Scusami, Vanessa, avrei dovuto chiamarti. – Dall’espressione di finta offesa capisco di aver sbagliato da qualche parte. Ma dove?

– Io sono Cris. – Un’altra che come me non ama il proprio nome? – Sali, mentre andiamo ci spiegherai cosa hai combinato. 

precedente – Profondi occhi verde smeraldo – segue


Il destino di stelle cadenti, dal 15 febbraio 2019 negli stores online e in libreria

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